La Calchèra è un forno per la produzione della calce. E’ anche detta “Furnás” ed infatti si trova sul mappale e bosco che costeggia la strada verso Mendrisio che porta il medesimo nome.

Indirizzo

Via artisti Pozzi, Castel San Pietro

1.Storia

La Calchèra risale probabilmente alla prima metà del 1800 ed è un esempio di attività preindustriale da tempo scomparsa.
Si tratta di una piccola struttura di forma cilindrica, con pochi metri di diametro, che serviva per produrre la calce. Generalmente queste costruzioni erano collocate vicino ad una cava di calcare utilizzata per alimentarle e vicino all’acqua. La calce ottenuta da questi forni era usata nell’edilizia come componente legante di malte, intonaci e affreschi; in agricoltura per il trattamento del terreno e degli alberi da frutta; nell’allevamento per la disinfezione delle stalle, pollai e porcili; nell’industria del pellame per la concia.

2.Curiosità

La tecnica per produrre la calce era già conosciuta dalle civiltà mesopotamiche e dagli Egizi.
La materia prima è la roccia calcarea, che possiamo trovare a lato della costruzione. I calcinatori erano di solito dei contadini che producevano la calce per il proprio fabbisogno o per essere venduta, e mettevano in funzione la fornace nei periodi in cui il lavoro agricolo era ridotto. Questa calchèra è detta “a fuoco alternato”, la produzione della calce si suddivide in: carico della fornace, calcinazione e estrazione della calce viva.
Dalla alla bocca di fuoco alla base della costruzione viene costruita una volta con pietre di calce in modo da sostenere la massa da calcinare. Le pietre estratte dalla cava in piccoli frammenti venivano immesse dalla bocca di carico della parte superiore, prima le più grosse e poi le più piccole. La fase di calcinazione dura circa una settimana accendendo il fuoco nella parte inferiore e preriscaldando lentamente la massa. Si aumenta gradualmente il fuoco portando la massa, che
diminuirà di un sesto del volume, a diventare rossa. Alla fine della calcinazione non esce quasi più fumo. Si diminuisce il fuoco e si chiude ermeticamente la bocca da fuoco. Si aspetta che la calce viva si raffreddi, poi la si toglie depositandola in una vasca o in una fossa del terreno e viene spenta con una determinata quantità d’acqua che produce un gran crepitio e vapore caustico, lasciando una pasta glutinosa e calda. La calce spenta veniva conservata isolata dall’aria in fosse coperte da sabbia o terra.
Era subito utilizzabile per la produzione di malte, mentre era meglio lasciarla stagionare per intonaci e affreschi.

3.Bibliografia e Link Utili

-Pubblicazione Museo Etnografico della Valle di Muggio

4.Sapevate che?

La calce ottenuta da questi forni veniva usata nell’edilizia come componente legante di malte, intonaci e affreschi. In agricoltura veniva utilizzata per il trattamento del terreno e degli alberi da frutta; nell’allevamento per la disinfezione di stalle, pollai e porcili; nell’industria del pellame per la concia. Solitamente i calcinatori erano i contadini che producevano la calce per il proprio fabbisogno o per essere venduta. Le fornaci erano messe in funzione in periodi in cui il lavoro agricolo era ridotto.

La calce spenta (con una quantità d’acqua che lascia una pasta glutinosa e calda) veniva lasciata stagionare ed utilizzata per intonaci e affreschi. La calce spenta veniva conservata isolata dall’aria in fosse coperte da sabbia o terra.